BUSCADERO .NET

Sentire religioso e moralità nel Diario di Giorgio Asproni

Priamo Moi
2009 02
Il giorno 31 gennaio 1861 nella cronaca giornaliera del suo diario, il deputato sardo Giorgio Asproni, dopo aver parlato della storia della Sardegna scritta dal Manno, e dell’intenzione di riscrivere sulla falsa riga della stessa - una breve storia , succosa, improntata ad affetto patrio ed ispiratrice di sensi liberi nel popolo -. Afferma: “Non avendo oggi altre notizie da registrare, ho stimato bene di scrivere questo Diario, destinato a rimanere a soccorso della mia memoria e nella più completa oscurità”.
Dieci anni dopo il giorno 24 gennaio 1870 scriveva: “Ecco pieno questo libro. Chi avrà la pazienza di leggere il mio diario imparerà molte cose che niuno mai avrebbe saputo e concedo che non tutte meritavano di essere notate. Io ho scritto ogni sera le impressioni del giorno per mia memoria. Non ho mai riletto neppure quello che ho scritto. Non ci ho messo cura alcuna, né per la lingua, né per lo stile, né per accuratezza di forma”.
Nei suoi quaderni Asproni registrò l’evolversi mutevole del suo pensiero lungo l’arco di tempo che va dal 1855 fino al 1876, anno in cui, il 30 aprile, incontrò “sorella morte corporale”. Sono gli anni di una feconda maturità, che le pagine di questo singolare memoriale ci mostrano in tutte le sfaccettature. La pubblicazione dello stesso, avvenuta un secolo dopo la morte dell’autore, ci consente di prendere atto della sincerità e della veracità di queste pagine, che oltre alla cronaca ci offrono la rappresentazione del dialogo dell’autore con se stesso e col suo maestro interno.
Per quanto riguarda il cristianesimo del Bittese, ci atterremo all’invito proposto da Giovanni Giaccu il quale dice: “Occorre andare oltre le ombre di uno ieri per diradarne l’oscurità…occorre costituire un dialogo, pur nel limite della non presenza del secondo interlocutore, affinché i frammenti del religioso sentire di Giorgio Asproni possano essere resi evidenti”(1). In queste righe cercheremo di rendere esplicite le convinzioni che si sono venute a formare sull’argomento; procederemo con umile attenzione e ci avvicineremo alle pagine del Diario, nel tentativo di comprendere cosa ha detto l’autore su quest’argomento delicato, ancor di più se teniamo presente la complessità dell’avventura umana del Nostro.
A questo proposito Maria Corrias Corona, esperta studiosa della vita del Bittese, sostiene che: “Io credo che l’Asproni più autentico sia quello del Diario, perché gli articoli dei giornali devono tenere conto del pubblico al quale sono destinati, così come le lettere devono considerare i sentimenti delle persone cui sono indirizzate”.(2)
Per entrare nell’argomento a proposito della religiosità asproniana, riteniamo illuminante citare quanto scriveva l’1 marzo 1874. Mancano due anni al trapasso; le convinzioni sono ben consolidate ed il moralismo esasperato, presente nella prima maturità dell'autore è venuto meno. A questo proposito citare questa frase del  Diario può essere illuminante per aiutarci a capire cosa pensasse della filosofia e della religione il Nostro: "Floriano Delzio mi ha fatto una lunga dissertazione filosofica. Io ho ascoltato con attenzione e veggo questi filosofi che si creano un mondo d’avvenimenti e li spiegano a modo loro. Delzio è uomo studiosissimo, ma io credo che la filosofia migliore sia il dogma dell’amore del prossimo e la moralità”. Come si vede, la filosofia idealistica  dell’amico lo invita ad allontanarsi da quel  mondo del dover essere teoretico per calarsi in quello della realtà pratica, nella quale la base solida dei comportamenti è costituita dai buoni costumi che derivano dalla convinzione che l’amore per l’umanità  è l’unica certezza per il nostro vivere.
Questo convincimento, che Asproni chiama dogma, mostra a chiare lettere che la sua concezione del  cristianesimo era profondamente radicata nella sua prassi di vita. A questo punto potremo chiederci, come si sposa questa fede  con l'anticlericalismo accentuato e con l’antigiudaismo teologico presente nei Diari. Potremo domandarci perché uno che è stato prete,  che professa il laicismo kantiano, che aderisce alla  massoneria, resta abbarbicato ad una concezione che vede nei “perfidi giudei” i nemici dell’umanità? A questo proposito vogliamo citare ciò che scrive il 5 febbraio 1874: “nella camera dei deputati, si è proseguita la discussione sulla circolazione cartacea. L’ebreo Luzzati ha finito il suo discorso. Quando si tratta di banche i figli di Israele e di Giuda sono sempre in prima fila. I Giudei sono una stirpe che sta al genere umano come le carie alle ossa”. Dieci anni prima, il 20 maggio 1864, sullo stesso argomento così scriveva: “La stampa anche moderata si esprime contro il deputato ingegner Susani e contro il conte Bastogi, per aver l’ultimo offerto, e l’altro accettato, un milione per i servigi resigli in occasione della concessione delle strade ferrate meridionali alla Bastogi. Il Susani è un giudeo ributtante, ha un aspetto che inspira antipatia a tutte le persone oneste”.
Emerge da queste parole che il sentire laico del Nostro è fortemente condizionato dall’educazione ricevuta e dall’aver fatto parte delle gerarchie vaticane, anche se come semplice canonico. Gerarchie che fecero dell’antigiudaismo la loro bandiera; erano altri tempi, Giovanni XXIII e le sue aperture conciliari non erano ancora maturate e Giovanni Paolo II non si era ancora recato in visita alla sinagoga di Roma.
Tutto ciò ci permette di affermare che indubbiamente l’uomo Asproni possedeva una personalità problematica e complessa, da cui la necessità di accostarci ai suoi scritti con grande prudenza, anche perché l’Interlocutore è lontano da noi nel tempo. Comunque le pagine di questo Diario permeato di verace sincerità, ci consentono di sollevare il velo che nasconde la sua umanità barbaricina sempre attenta agli altri, pur nelle durezze e nelle spigolosità di carattere: questa mia lettura mi spinge ad affermare che il cristianesimo di Asproni era tanto serio da restare vivo ed operante nonostante l’anticlericalismo e l’antigiudaismo che manifesta nei suoi scritti..
Il florilegio di citazioni comprovante tutto questo che abbiamo detto potrebbe essere lunghissimo, infatti non c’è una pagina del Diario dove l’avversione contro il potere vaticano non si manifesti, in modi anche crudi, così come poche sono le altre dove il suo religioso sentire –basato sull’evangelica massima dell’amore verso il prossimo- non venga riaffermato.
Vogliamo riportare alcune sue considerazioni in proposito. Il giorno 12 aprile 1865 confessa: “Questa sera sono entrato in varie chiese. Dappertutto v’era concorso di molta gente. Io pensavo entro me stesso quanto è potente e generale il sentimento della religione e quanti secoli dovranno ancora passare prima che si adori Dio in Spirito e Verità”.
In queste parole ci sembra di sentire la parafrasi del detto kantiano che definisce la religione come naturale espressione della disposizione metafisica dell’umanità. Questo sentimento non fa altro che soddisfare l’anelito verso l’Assoluto presente in ogni uomo che viene a vivere in questo mondo, perciò da buon cristiano l’Asproni ricorda che gli ostacoli da superare sono ancora tanti prima che si realizzino le parole del Divino Maestro che rispondendo alla samaritana disse: “verrà tempo in cui i veri credenti adoreranno il Padre in Spirito e Verità, perché è cosi che il Padre vuole essere adorato”.
Il 2 novembre 1866 è a Napoli –dopo il colera che ha imperversato per tutta l’estate e parte dell’autunno- scrive: “i preti cantavano messa. Per loro è un giorno di festa e di guadagno. Sfruttano la pietà dei superstiziosi…di tutte le caste quella dei preti è stata la più inesorabile, la più sagace nell’invenzione di nuovi terrori, la più scaltra e ostinata nel conservare i suoi acquisti. Felice sarà il genere umano se arriverà il giorno in cui il prete sarà abolito e non vi sarà più intermediario alcuno tra la creatura e il suo Dio…nel sepolcro tutto si livella, né è migliore la condizione delle ossa riposte entro arche di marmo, da quelle che stanno indistinte, confuse ed obliate nella fossa comune”.
L’ultima frase ci ricorda il Principe Decurtis –in arte Totò- che in una sua poesia “A Livella” sostiene, e chissà perché, la stessa opinione del canonico di Bitti.
Come possiamo vedere il noto (e per alcuni famigerato) anticlericalismo dell’Asproni traspare a chiare lettere e in modo inoppugnabile. C’è stato chi ha confuso per comodità –in buona o mala fede- la lotta dell’Asproni alle burocrazie sedicenti clericali, col disprezzo del sentire religioso o con l’odio per i valori cristiani. In Asproni questi sono problemi nettamente separati, perché lui è convinto che la Chiesa come comunità di credenti non può avere nemici, mentre le caste sacerdotali, le gerarchie, essendo strutture di potere, come tutti i tipi di potere hanno necessariamente sia amici che nemici. Il Nostro era convinto per esperienza e conoscenza diretta che tutte le burocrazie -politiche, religiose e di altro tipo- sono esposte all’avidità e alla corruzione. Non si fermano davanti a nulla pur di difendere il loro potere, propalano la superstizione, se lo ritengono opportuno  inventano favole di ogni tipo per terrorizzare i credenti. Da queste righe traspare una concezione religiosa e cristiana che definirei come monoteismo etico, che più che un’ortodossia è un’ortoprassia. Un metodo di vita basato sull’insegnamento biblico ed evangelico, che si propone di non fare agli altri ciò che non si vuole per sé stessi. Quando Asproni ipotizza –in un lontano futuro- un’umanità capace di entrare in sintonia col Creatore senza la mediazione di coloro che si vestono da pastori; ci richiama, lui prete e conoscitore dei preti, l’ammonimento evangelico che dice: “state attenti nei confronti dei falsi profeti, che vengono da voi travestiti da pecore ma che invece sono lupi rapaci”. In altre parole prevedeva, ma i tempi erano lunghi, un popolo di sacerdoti e di gente santa capace di evitare le problematiche collegate all’esistenza delle  burocrazie al potere.
Alcuni hanno persino sostenuto che Asproni non fosse cristiano –lui che era stato battezzato, confermato e consacrato sacerdote-; ritengo però che tutto ciò sia sbagliato perché il sentire religioso del Nostro era profondamente evangelico, se si intende per cristianesimo non un insieme di precetti teologici, bensì l’impegno pratico e fattivo nell’amore per l’Umanità, amore, che quando è autentico, si unisce e porta all’amore per il Creatore.
Asproni sapeva che il possesso di una cultura religiosa è il presupposto per essere autenticamente laici, ed è un efficace strumento per evitare le insane suggestioni e le indebite sudditanze nei confronti di un potere che, pur proclamandosi tale, religioso non è.
L'Asproni dice:"il sentimento religioso è necessario allo sviluppo delle virtù del cittadino, purtroppo l'avversione al potere clericale ha indebolito questo retto sentire del popolo tanto da farli esclamare: "non vi è nel mondo popolo meno cattolico di quello italiano". Questo scrive in data 19 settembre 1856 nel riportare una lettera scritta alla nobile moldava  Dora d'Istria di cui l'Asproni si era momentaneamente invaghito.
Nella sua prassi di vita era guidato da un proponimento che nel suo Diario espone con queste parole: “è dono di Dio il cuore tenero di giustizia, infiammato d’amore per la virtù e per la misericordia, anche se lo studio e la meditazione sulla storia mi ingenerano un sentimento di profondo fastidio che talvolta mi paralizza, e questo è un male” (12 febbraio 1861).
Che nei suoi giudizi l’Asproni fosse talvolta poco misericordioso è un fatto che i Diari attestano con frequenza, bisogna però tenere presente che allora – come oggi d’altronde - le opposte fazioni erano speculari. Esisteva un fondamentalismo materialista non meno integralista di quello emanante dal potere religioso. Da una parte c’erano organizzazioni più papiste dello stesso Papa, con in testa i gesuiti, dall’altra c’erano uomini come Garibaldi e Asproni, che in quanto a contumelie rendevano loro la pariglia. I Diari di Asproni parlano un linguaggio crudo, perché evidenziano la crudeltà di un mondo dove la menzogna opprimeva ogni essere umano, tanto da creare in lui quel fastidio paralizzante che definisce un male, che gli rendeva l’esistenza nauseante e ripugnante.
Quello che adopera è il linguaggio più adatto per esporre un catalogo di reati e infamie così abissali da giustificare la crudezza di certi suoi giudizi.
Asproni era certamente una "malalingua", ma bisogna ricordare che fu vittima del mal animo altrui e della malvagità organizzata da suoi confratelli nel ministero sacerdotale. Per l' asprezza di linguaggio e per l' antigiudaismo, le pagine del Diario possono essere paragonate a quelle del Dizionario Filosofico di Voltaire, il quale non risparmia critiche anche roventi a quelli che lui definisce i "ladri che si sono insediati nel tempio" ed agli altri che definisce "perfidi giudei".

Autorevoli studiosi sostengono che –a modo suo- l’Asproni propenda per un tipo di moralità kantiana che trova nel  Diario la manifestazione più autentica. Di questo parere è Maria Corrias Corona che dice:"ho sostenuto molti anni or sono che ad Asproni -pur essendo manifesta la sua inclinazione per la filosofia positiva, può essere attribuita una posizione kantiana: preso atto che le prove razionali dell' esistenza di Dio non possono essere dimostrate dalla pura ragione che le ha formulate, l'importanza dell'idea di Dio si manifesta nella pratica, è cioè legata alla morale". (3)

Vediamo se tutto ciò possa essere sostenuto in base a citazioni precise della sua opera.
Il giorno 4 gennaio 1864 così scriveva: “Io meditai molto il giorno che il Guerrazzi mi disse a casa sua, a Livorno, che la vita dell’uomo è troppo breve e che gli incresceva di essere vicino a morire. Io credo al contrario, che ogni uomo, assai, o poco che duri la vita, deve fare la parte sua, da cittadino onesto e operoso, e benedire la morte quanto ci coglie perché la vita ha poche gioie, lunghe fatiche, brevi consolazioni, amari disinganni e dolori inenarrabili”.
Queste righe ci mostrano il pessimismo del Nostro, ben cosciente del fatto che sotto questo sole tutto è vanità e che in questo mondo la vita porta con sé più dolori che gioie. Nella frase riguardante il cittadino operoso ed onesto vediamo che la coscienza morale del Bittese è portatrice di contenuti che vedono il Bene, non solo come totalità di regole astratte, ma piuttosto come un insieme di comportamenti pratici vissuti e condivisi nella società. Per l’Asproni l’etica non è un fatto privato ma possiede sempre una dimensione politica che si incarna in un mondo sociale ben preciso. In altre parole possiamo affermare che la soggettiva volontà di fare il bene deve oggettivarsi nell’esteriore e concreto operare. In questo senso l’Asproni è kantiano, perché possedeva una coscienza del dovere molto forte, ma è profondamente cristiano perché convinto del fatto che non basta dire “Signore, Signore”, non basta pregare, ma bisogna fare la volontà del Padre.
A questo riguardo possiamo ricordare ciò che dice –a proposito dei faccendieri politici che per lui sono una vera calamità,- il giorno 23 maggio 1864 scrive: "non intendere la libertà che di sua natura è ordinata al bene, ed il bene non si può avere che nella verità, che perciò bisogna amare sempre sopra ogni cosa".
Sempre sullo stesso argomento il giorno dopo (25 maggio 1864), polemizzando con il Guerrazzi rincara la dose e precisa: "a me pare che non ebbe mai una idea netta della libertà. Io so questo che il libero arbitrio è ordinato al bene; che il bene non si trova che nel vero: la Libertà è dunque nella verità e chi se ne allontana è colpevole, quindi non è libero. Ai politiconi questa pare semplicità di fanciulli, ma quello che è, è. Il mendacio non educa, corrompe. Da questo falso indirizzo dei sapientoni simulatori e dissimulatori nascono i mali pubblici e la tirannide".
Asproni fu – come ogni individuo – condizionato da un orizzonte di vita all’interno del quale la sua coscienza venne plasmata. Infatti queste sue frasi ci riportano alla massima evangelica che diceva: "sia il vostro parlare un si, si o un no, no , perché tutto il resto viene dal maligno". A questa possiamo appaiare l’altra massima del Divino Maestro che diceva : "la verità vi farà liberi".
Il contesto culturale che in gioventù lo determino fu la sua vita sacerdotale, che pur con le amarezze arrecategli dalle beghe di potere che lo ferirono duramente, non riuscirono mai a fargli dimenticare i principi che vedono nell’autonomia del volere e nella libertà il punto di arrivo dell’intera cultura cristiana dell’occidente e che trovano nella filosofia kantiana la più organica interpretazione.
Certo è che la semplicità dei fanciulli – vista come porta di ingresso per il regno dei cieli – non era una caratteristica degli uomini di potere che si trovava costretto a frequentare. Questa situazione di scissione tra la sua eticità ed il mondo in cui era obbligato a vivere gli procurò momenti di infelicità e disinganno, ma nonostante tutto ciò l’adesione ed il riconoscimento del valore fondante dei principi evangelici non venne mai meno nella sua coscienza.
Giovanni Lilliu nella terza pagina dell' Unione Sarda del 7 maggio 1975, così scriveva:"su questo anabattismo etico influiscono l'atteggiamento dell'Asproni a prendere come esempio i grandi e virtuosi modelli dei tempi antichi, ma anche la sua originaria e sempre mantenuta formazione religiosa, per non dire clericale, e anche l'ispirazione moraleggiante dell'ideale mazziniano. Come succede ai moralisti talvolta il giudizio finisce per diventare improprio....ma non ne facciamo gran colpa all'Asproni, del quale dovremo ricordare i sentimenti democratici e progressisti e l'appassionata e sincera azione in difesa della Sardegna....tanto amava la libertà dei sardi da incitarli a muovere i loro Vespri. Qui vediamo sia l'ardore rivoluzionario del mazziniano, ma anche la rabbia incontenibile del barbaricino contro gli oppressori dell'isola".
Sicuramente il Grande Bittese non era innamorato della <<filosofia germanica>> che allora andava per la maggiore nella vulgata proposta dagli idealisti italiani. Infatti accusa queste teorie di spaziare nelle nuvole, quando invece bisogna curare l’uomo che vive su questa terra. Possiamo concludere affermando che se la sua concezione morale era kantiana – nel senso che abbiamo esplicitato – allora essa lo era in un modo profondo e serio, perché non perdeva mai di vista il mondo dell’essere, della concretezza e del fare.

(1) Giovanni Giacu in "Giorgio Asproni - Eredità morale - Attualità politica,." in Atti del convegno nazionale di studi per il ventennale di fondazione della Loggia Giorgio Asproni n 1055 Grande Oriente d'Italia, a cura di Anna Maria Isastia, Cagliari 2006, pag. 103

(2) Maria Corrias Corona in "Giorgio Asproni, un leader sardo nel Risorgimento Italiano" a cura di Luigi Polo Friz e Tito Orrù, AM&D Edizioni 2008 pag. 148

(3) Maria Corrias Corona in "Giorgio Asproni, un leader sardo nel Risorgimento Italiano" a cura di Luigi Polo Friz e Tito Orrù, AM&D Edizioni 2008 pag. 147

(4) Giovanni Lilliu in l' Unione Sarda,  7 maggio 1975, pag. 3