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Della Democrazia, ovvero: sullo scontro tra politici e managers.

Priamo Moi
2004 04
Perché usiamo il dialogo come strumento per esporre le nostre convinzioni?
Questa è la domanda che ci pone un lettore, perciò prima di continuare con la nostra rubrica dobbiamo rispondere.
Siamo convinti che un dialogo fondato su norme comuni dia forma e sostanza a qualsiasi possibile intesa.
Tutto ciò perché la comprensione del pensiero umano è possibile se le premesse dell'argomentare vengono condivise; infatti se c'è il riconoscimento reciproco si può instaurare un processo autocorrettivo che tendenzialmente procede verso verità.
In altre parole la comprensione e l'inveramento delle nostre idee si realizza quando la mia e l'altrui coscienza sono intessute di riconoscimento e condivisione.
Questa risposta evidenzia inoltre il perché noi scriviamo così come parliamo, evitando artifici retorici che renderebbero la nostra prosa più scintillante ma certamente meno chiara e convincente.
Crediamo nel dialogo anche perché viviamo in un mondo dove i tentativi di istituzionalizzare la Menzogna risultano sempre più efficaci, una realtà dove alcuni possono mentire su tutto senza poter essere smentiti su niente.
Questo succede perché chi può permetterselo evita la controparte, la quale essendo assente, viene demonizzata nei suoi presunti torti.
Succede ciò che un nostro collega ha scritto su "Il giornale della Trexenta": "le bugie, gli inganni, le truffe sono abitudini di tutti i giorni tanto che buona parte degli italiani confondo verità e menzogna, onesti e malfattori, ladri di galline e truffatori di professione. Correre ai ripari  è difficile e raccontare la verità impresa impossibile".
Nonostante tutto l'ottimismo della volontà non ci abbandona,  proseguiamo quindi nel nostro dialogo, che nell'ultimo intervento si concluse con una parola: Democrazia, sulla bocca di tutti ma praticata da pochi.

Con i tempi che corrono parlare di questa fragile ma sempreverde pianta, chiamata Democrazia, potrebbe rivelarsi temerario.
In un mondo dove la sovranità della Legge fatica a reggere l'urto di una politica dove il fatto brutale prevale sul Diritto, parlare di essa potrebbe apparire insulso.
Noi imperterriti andiamo avanti nel tentativo di evitare, come dice Domenico: "che si faccia strada e si affermi una delegittimazione per vie interne del sistema democratico, che ne svuota progressivamente i presupposti, nel mentre che gli vengono riservati tutti gli omaggi formali e di rito, negandola nella sostanza".
Giovanni nel confermare il punto di vista di Domenico aggiunge: "ma che società è questa dove si semina l'odio, dove si demonizza la controparte, come se fosse un nemico da abbattere e cancellare dal consorzio umano, mentre essa è solo un avversario politico che ha tutte le sue buone ragioni e con le quali bisogna confrontarsi e misurarsi per tentare di realizzare il bene comune".
Nel dire questo Giovanni ha messo il dito su quella piaga consistente nella caduta di stile di un certo modo di fare politica che ormai ha perso di vista il suo fine fondamentale,  consistente nel compito di enucleare chiarire e realizzare l'interesse generale, per sostituirlo con scopi particolari.
Domenico forse influenzato dai suoi studi sulle riforme istituzionali, evidenzia un altro aspetto del problema: "si è affermata negli ultimi tempi la convinzione che la politica sia il dominio dell'inefficienza, dell'incompetenza e della corruzione. Di conseguenza lo scopo primario dei potentati economici e finanziari è diventato quello di ampliare le proprie capacità di controllo sui partiti, sui sindacati, e su tutte quelle strutture che storicamente hanno organizzato il consenso."
Memore delle sue passate esperienze di politico e di amministratore interviene Armando che dice: "è inoppugnabile che i casi di corruzione in questi ultimi decenni sono emersi con forza brutale, ma contemporaneamente si sono verificate anche esperienze di irrazionale e tragica incompetenza da parte di manager e tecnocrati dell'economia."
Le cronache di questi giorni, tanto quelle locali che quelle nazionali ed internazionali, ci pongono di fronte al contrasto che vede da una parte un certo tipo di classe politica, dipinta e percepita come la parte più irrazionale pericolosa ed inutile dell'ambiente istituzionale, dall'altra le grandi concentrazioni finanziarie che tentano di imporre (riuscendoci) l'assolutizzazione di un criterio meramente economico come misura di tutte le cose.
Questo parametro ingloba ed assorbe tutte le altre possibili considerazioni, divenendo un pericoloso semplificatore delle complessità sociali, antropologiche e culturali che la tanto bistrattata politica riusciva sempre a considerare.
Questo tipo di " economicismo" nega la varietà, la ricchezza, e l'imprevedibilità insite nell'esistenza collettiva che quei politici, tanto demonizzati dai capitani di industria che sono già "scesi in campo" (qui in Sardegna come altrove) riuscivano a cogliere, guidare e gestire.
Domenico inoltre aggiunge: "si sta verificando che questi potentati sono riusciti a costituire un arcipelago di potere con ben precisi e specifici interessi propagandati come interessi generali.
Nel nome dell'efficienza della competitività e del freddo calcolo, guidato dal guadagno, l'universo mediatico, controllato direttamente o indirettamente da questi soggetti, si incarica di pubblicizzare queste oligarchie e di colpire le istituzioni ed i gruppi politici attribuendo loro demeriti ben più gravi di quelli reali."
Lo scontro tra imprenditori, politici ed istituzioni ha assunto aspetti tragici e farseschi allo stesso tempo, mentre qui in Sardegna assistiamo allo spettacolo delle trattative riguardanti le prossime elezioni regionali che vedono sulla difensiva i rappresentati di quei partiti che, bene o male, hanno fino ad oggi garantito il pluralismo democratico.
Chiaramente i soggetti economici che sono scesi nel campo della politica nell'intento, dicono loro, di arricchire e salvare la democrazia, difficilmente possono evitare il ricorso alla demagogia.
Per forza di cose le campagne elettorali che sfociano nel voto non possono sfuggire alla forza dirompente delle promesse vuote ed irrealizzabili accentuando sempre di più, attraverso le manipolazioni del consenso, rese possibili da un sistema mediatico e pubblicitario in mano ai potentati sopra descritti, la crisi di un sistema democratico che in Italia ha dato nell'ultimo mezzo secolo, pur tra luci ed ombre, risultati egregi.