BUSCADERO .NET

Unità d' Italia e federalismo nel pensiero di alcuni Padri della Patria

Priamo Moi
2010 10
Premessa

I preparativi per celebrare il 150° anniversario della Unità dell’Italia, hanno avuto come conseguenza un rifiorire di studi e di reinterpretazioni sul Risorgimento.
A scuola ci hanno insegnato che questo travagliato e complesso periodo storico, fu il risultato di un progetto guidato dall’aspirazione di dare uno Stato Unitario alla Nazione italiana.
Le migliori menti del “secolo breve”, da B. Croce ad A. Gramsci da Piero Gobetti a G. Gentile hanno elaborato e proposto interpretazioni diverse sul processo di Unificazione della penisola.
Visto talvolta come fenomeno elitario oppure come una “rivoluzione fallita”, ma anche come risultato di un “nuovo pensiero”, di una temperie culturale impersonata da Alfieri e da Foscolo, da Leopardi e Manzoni da Mazzini e Cattaneo e da tanti altri che nei loro scritti prefigurarono quella “Nuova Italia”, che servì da guida ideale per l’azione pratica di coloro che la unificarono.
Bisogna però ricordare che fino alla seconda guerra mondiale prevalse un pensiero storiografico che evidenziava il primato del Regno Sardo-Piemontese e di casa Savoia nell’opera di costruzione dello Stato.
Questa interpretazione filo monarchica e centralistica portava con se come conseguenza la necessità di mettere la sordina a tutte quelle istanze politico-culturali che prevedevano l’unificazione entro una cornice istituzionale federalista che valorizzasse le ricchezze presenti nella multiforme, ma Unica Italia.
Con la parola federalismo ricompare un problema antico, divenuto attualissimo in questa situazione politica.
L’esigenza, di ridisegnare il potere delle Regioni nell’ambito dello Stato Italiano, che ormai fa parte di una Europa che si sta dando un volto nuovo, è ineludibile.
In queste brevi note si cerca di leggere il Risorgimento così come si presenta attraverso i diari e le opere di alcuni suoi protagonisti.
Due degli scritti, da cui emerge – con nitida ed inoppugnabile chiarezza – l’anima federalista ed autonomista del progetto Risorgimentale sono: il Diario Politico del deputato sardo Giorgio Asproni e gli scritti del lombardo Carlo Cattaneo.
L’opera del Bittese è costituita dalle annotazioni giornaliere che il “Canonico Rosso” – così lo chiamava Garibaldi – scrisse durante un periodo che va dal 1855 al 1876, quando il 30 aprile dello stesso anno, morì.
Giovanni Spadolini definì Asproni: “Profeta della democrazia italiana” come riportato da Tito Orrù nella premessa al VII Volume del Diario Politico.
L’opera del parlamentare sardo: ”Ci offre una utile ed in qualche misura insostituibile fonte storiografica per una fase importante della vita politica italiana”; così afferma il benemerito curatore del Diario nel concludere la premessa già citata.
Asproni come Cattaneo, era federalista, era un liberale con tendenze radicali, ecco perché assieme alle parti del Diario che parlano di autonomismo vogliamo scrivere qualche noterella su quelle pagine dove  l’illuminista lombardo affronta lo stesso problema.
L’incontro fra questi due democratici può essere rivisto proprio attraverso una breve analisi di queste loro opere.
Cattaneo partecipò con grande impegno ai moti del ’48 assumendo posizioni fortemente antipiemontesi, nel 1859 fu invece sostenitore della seconda guerra di indipendenza, rinunciando in parte alla sua pregiudiziale antisabauda, l’anno dopo cercò di convincere Garibaldi ad attuare l’ideale federalistico di cui era strenuo sostenitore, non ci riuscì e si ritirò in volontario esilio in un paesello vicino a Lugano.
Dal 1839 al 1844 ebbe la direzione del Politecnico, nel 1860 la gloriosa rivista riprese la pubblicazione, ma nel 1863 abbandonò la direzione per i dissensi con un editore “troppo sensibile alle pressioni dei conservatori”.
Nel Diario di Giorgio Asproni il nome di Cattaneo compare per la prima volta nel 1859 il 27 maggio per motivi riguardanti la guerra contro l’Austria.
L’anno dopo, il 27 aprile, Asproni manifesta soddisfazione perché nel collegio di Milano ed in quello di Cremona è stato eletto Cattaneo e aggiunge: ”Voto che si pesa e non si numera”.
Il 10 settembre 1860, Cattaneo viene proposto da Asproni al Generale Garibaldi come coadiutore dell’anziano Senatore Giorgio Pallavicino nell’ipotesi che questo ultimo venisse nominato Prodittatore di Napoli.
Il 21 settembre 1860 Cattaneo arriva a Napoli.
C’era la proposta di nominarlo pro-dittatore che il lombardo rifiutò dichiara dosi disponibile ad espletare una missione politica a Londra.
Nel Diario del giorno 24 dello stesso mese Asproni descrive la seguente scenetta a proposito di una lettera di Garibaldi a Vittorio Emanuele di Savoia.
“Cattaneo mi ha detto che la lettera scritta da Garibaldi al Re aveva l’idea di un testamento: Cattaneo gliela emendò con dignità e Garibaldi trascrisse fedelmente l’abbozzo.”
Vogliamo ricordare ciò che il Diario riporta in data 27 settembre 1860.
Asproni scrive: “Stamani ho avuto un lungo abboccamento con Cattaneo, discorrevamo sui mali che i piemontesi fanno all’Italia......poi ci siamo sfogati contro Cavour e contro il Re Galantuomo e contro i Piemontesi che Cattaneo chiama “Impedimentum magnum” per la causa Italiana.
Nella prefazione al “Politecnico” del 1860 Vol. IX Cattaneo aveva descritto: ”I danni del Centralismo e i vantaggi del Federalismo”.
Il “grande impedimento” costituito dalla volontà piemontese di creare uno stato centralizzato sulla falsariga di quello francese viene criticato, nel mentre che paragona la situazione del Lombardo – Veneto e del resto dell’Italia centrale a quella creata dall’aver voluto applicare in modo frettoloso la Legislazione Piemontese – con le seguenti parole: “Il Piemonte...si trovò inferiore in diritto Penale alla Toscana, in diritto civile a Parma, in ordini comunali alla Lombardia, il Piemonte ebbe la disgrazia di apportare ai popoli, come un beneficio, nuove Leggi che essi accolsero come disturbo e danno.
Gli assennati riputarono un Vituperio che il popolo preferisse le leggi austriache a quelle italiane e non si avvidero che il vituperio era che le leggi italiane fossero peggiori di quelle austriache”.
Il Sardo di Bitti ed il Lombardo nato nella fertile pianura Padana, si trovavano d’accordo sul fatto che l’accentramento realizzato dai piemontesi poteva sconnettere l’Italia più che unirla, perché non si trattava di accentrare, ma di coordinare le varie realtà legislative ed economiche che costituivano l’Unica Italia.
Perché come riafferma Cattaneo nella citata premessa: ”I molteplici consigli legislativi, i poteri amministrativi di molte e varie origini sono condizioni necessarie di libertà perché la libertà è una pianta con molte radici.”
In effetti quando le ricchezze economiche ed il potere politico vengono gestite da una sola “autorità centrale” è facile costruire maggioranze precostituite che fanno diventare la parola libertà un vuoto nome e nella società invece tutto viene fatto come tra padroni e servi, dove i molti sono sudditi e non cittadini.


II –
I Plebisciti e l’annessione al Piemonte.


Carlo Cattaneo arrivò a Napoli il 21 settembre 1860 ed andò via il 19 ottobre.
Il Diario di Asproni testimonia la frequentazione giornaliera fra il Sardo e il Lombardo e dei due con Mazzini e Garibaldi.
Ricordiamo che in questo periodo capitarono avvenimenti cruciali per la storia d’Italia.
I Piemontesi misero in rotta le truppe del Papa a Castelfidardo il 18 settembre.
Il 2 ottobre i garibaldini sconfissero definitivamente sulla linea del fiume Volturno le truppe borboniche.
Il 26 dello stesso mese a Teano Garibaldi consegnò a Vittorio Emanuele il Meridione liberato.
Nei mesi successivi i componenti dell’esercito garibaldino vennero messi da parte nonostante avessero liberato il Regno delle Due Sicilie.
Garibaldi tornò a Caprera.
Il 17 marzo del 1861, appena cinque mesi dopo, Vittorio Emanuele II venne proclamato “Re d’Italia per grazia di Dio e volontà della Nazione”.
Subito dopo iniziò quella “guerra civile “ che la storiografia filo-sabauda definiva “Lotta al brigantaggio”.
Su questo controverso argomento vediamo quale è il pensiero dei nostri autori, così come risulta Diario del Canonico Sardo.
Cattaneo,Asproni e Crispi si recano da Garibaldi e praticamente lo buttano giù dal letto alle 5 del mattino.
Nel Diario Asproni, in data 9 ottobre 1860, così riporta quanto disse all’Eroe dei due Mondi: ”Amico....l’invasione dell’Umbria e delle Marche ha rialzato il Cavour....in Torino oggi non lo si può combattere è in Napoli che lo si può e lo si deve abbattere....Stia pure il Plebiscito (voluto da Cavour), ma lo preceda un’Assemblea che discuta e deliberi prima.
L’Assemblea è indispensabile se non si vogliono spargere i semi di una Guerra civile.
Badate che Napoli non potrà mai tollerare di dipendere da Torino, cede all’Italia ma non s’unisce al Piemonte.
Riflettete che dopo i brogli del 2 dicembre...il suffragio universale è in pieno discredito.
Noi stessi lo abbiamo impugnato alla camera e voi rimettendovi unicamente ad esso santificherete il traffico infame...subito dopo parlarono in appoggio mio Cattaneo e Crispi”.
Questa testimonianza scritta in tempi non sospetti pone in chiaro l’aspetto profetico delle affermazioni di questi tre Padri della Patria che si ritrovarono d’accordo nel ribadire che la “guerra civile” (per i filo sabaudi “il brigantaggio”) ci sarà per il fatto che il Meridione sopporterà a stento che i Piemontesi vengano a raccogliere il frutto dei sacrifici sostenuti dai Meridionali e dai Garibaldini nel liberare il Sud dell’Italia.
Il 15 ottobre dello stesso anno, cioè una settimana dopo, sempre nel Diario Asproni riporta il punto di vista espresso da Cattaneo sulla politica del Cavour:”....Con Cattaneo abbiamo ragionato sulla situazione e discusso sui mali che il Piemonte va facendo all’Italia”.
Il giorno dopo sempre nel Diario Asproni scrive rivolgendosi a Garibaldi: ”Gli ho detto che queste violente annessioni produrranno fra poco la “guerra civile”, non essendo possibile che Napoli e l’Italia meridionale subiscano l’insolenza dei Piemontesi”.
Il diario del giorno finisce con questa frase:”Cattaneo e Mazzini si sono ristretti in vera amicizia, sebbene Cattaneo sia sempre irremovibile sulla necessità della federazione. Credo che finisca per avere ragione”.
Il 21 ottobre si tengono le votazioni per il Plebiscito di annessione al Piemonte, in tale data il Diario così recita: ”Gran folla per la votazione e grandi pressioni per deporre la scheda del ”Si” nell’urna.
Non vi è garanzia di sorta per la volontà libera.....Vogliono tutti l’Italia, ma nessuno vuole assoggettarsi a Torino ed ai Piemontesi.
Questa annessione precipitata ci darà la guerra civile.
Sono stato questa sera a veder Mazzini e gli ho dato altre note sui dolori della Sardegna e mi ha promesso che mi manderà articoli firmati da lui.....Gli ho dato vari indirizzi per spedire il giornale a vari amici dell’Isola di Sardegna”.
Risulta significativo l’impegno di Asproni che pur trovandosi in situazioni che potevano distrarlo dalla costante attenzione per “i colori” della sua Isola non dimentica di coinvolgere personalità della statura di Mazzini nel tentativo di pubblicizzare e risolvere gli stessi.
Colpiscono le parole “guerra civile” ed anche l’evidenziare che tutti vogliono l’Italia ma non i Savoia, se la strada è quella dell’annessione affrettata adoperando il plebiscito che non offre garanzie per la volontà libera ed è ritenuto un tipo di suffragio che gode di grande discredito.
Queste estese citazioni del Diario Asproniano meritano di essere commentate anche attraverso alcune cifre.
Vediamo in che cosa consisteva la “democraticità” dei plebisciti che Asproni e Cattaneo mettevano in dubbio.
Il nome viene da “plebe” il gruppo sociale che assieme a quello dei patrizi componeva il popolo romano.
Nell’antica Roma i plebisciti stavano ad indicare le delibere dei plebei aventi valore legale, assunte nelle assemblee della plebe.
Quelli citati nel Diario e tenuti il 21 ottobre 1860 prevedevano il suffragio universale maschile – secondo il modello napoleonico.
La domanda posta sulla scheda era formulata nel modo seguente: “Volete l’Italia Una e indipendente con Vittorio Emanuele re costituzionale ed i suoi legittimi discendenti?”.
Come si vede non venivano previste soluzioni alternative al quesito che costituiva poco più – o poco meno – che una domanda retorica.
Come correttamente riporta il Diario le pressioni e le intimidazioni perché si votasse “ Si” ci furono.
Comunque la percentuale dei votanti fu molto alta sfiorò l’ottanta per cento e i consensi furono quasi unanimi; allo stesso modo andarono quelli tenuti il 4 novembre in Umbria (63%) e Marche (79%).
Questa trionfale, si fa per dire, adesione all’Unità d’Italia sotto i Savoia ebbe come esito l’annessione al Piemonte.
Le speranze dei democratici svanirono, l’Unità fu una conquista regia che vedeva i Savoia come garanti della stabilità sociale e della coesione dello Stato.
Inoltre possiamo aggiungere che dalle pagine del Diario emerge un Garibaldi grande soldato ma pessimo politico, arrendevole e succube nel convocare i Plebisciti prima di convocare quell’Assemblea costituente, che Cattaneo, Crispi ed Asproni avevano caldamente perorato.
D’altra parte il loro avversario diretto era un liberale moderato, ma avveduto e scaltro della statura di Cavour.
Come si è già detto la partecipazione popolare fu vasta, si superarono i tre milioni di elettori, subito dopo con la proclamazione del Regno d’Italia entrò in funzione l’apparato burocratico amministrativo del Piemonte, e niente venne fatto per adattarlo alle nuove contingenze.
La nuova legislatura quella emersa dalle elezioni del 1861 non fu la prima del Regno d’Italia, ma l’VIII – proseguendo la numerazione – di quelle del parlamento sub-Alpino.
La ristretta oligarchia che era riuscita a condurre in porto l’Unificazione si guardò bene, in nome del suo conservatorismo, dall’adeguare alla nuova situazione elettorale prevista lo statuto Albertino del 1848 ma lo applicò tale e quale al nuovo Stato.
Di conseguenza le aspirazioni federaliste ed autonomiste di Cattaneo ed Asproni furono rinviate sine die.






III –
Brigantaggio o Guerra Civile?


L’annessione al Piemonte – attraverso il Plebiscito – strumento che Cattaneo ed Asproni ritenevano inadeguato – fu la pietra tombale che coprì definitivamente le proposte federaliste ed autonomiste di quei “padri della patria”dimenticati sui libri della Storia agiografica di intonazione filo sabauda, loro furono dei vinti, anche se i nomi di molti sono sui monumenti e sulle vie delle città italiane.
Siccome, dire la verità su quel processo storico travagliato e complesso che fu l’unificazione italiana fa bene sia agli italiani che a certi storici, si vogliono fornire alcuni dati su quel fenomeno chiamato “brigantaggio” che invece fu realmente una guerra civile durata oltre tre anni.
Francesco Cossiga nel suo libro dal titolo “Gli Italiani sono gli altri “ a pag. 30 ci offre questi dati: ”Tra il 1860 ed il 1861 i briganti fucilati furono 8964, quelli fatti prigionieri 6112, quelli arrestati 13529”.
Questi dati che ci vengono forniti dalla buon’anima del “Gattosardo” Cossiga Francesco ex Presidente della Repubblica ed ex Ministro degli Interni è interessante paragonarli ad altre cifre che invece ci vengono proposte da due libri di Storia molto adoperati negli istituti superiori della scuola Italiana.
Nel Manuale dal titolo: ”La conoscenza storica” Vol. II Autori A. De Bernardi e Scipione Guarracino – Edizioni Scolastiche Mondadori anno 2000 a pag. 394 si legge: “Un corpo di spedizione che nel giro di due anni raggiunse i centomila uomini, la metà dell’esercito nazionale,.....occupò militarmente le regioni meridionali....e represse la guerriglia con costi umani altissimi: cinquemila morti in azioni di guerra, ed oltre settemila condannati alla pena di morte o al carcere a vita.
Alla fine del 1864 il sud si poteva considerare riappacificato”.
Un altro manuale in uso nei licei di tutta Italia dal titolo “Storia e storiografia” 2° tomo di A. Desideri e Mario Themelly Casa editrice d’Anna – Firenze 1999 a pag. 875 così recita: ”I governanti della Destra.....non esitarono ad usare la mano forte mobilitando contro i “briganti” non solo la Guardia Nazionale borghese e la polizia ma anche l’esercito mobilitando circa centoventimila uomini oltre la metà dell’esercito.
Secondo dati attendibili i briganti uccisi in combattimento o fucilati, tra il giugno 1861 ed il dicembre 1865, furono 5212, quelli arrestati 5044 ed i condannati 2000 circa.
Con la legge Pica del 15 agosto 1863 – i processi furono affidati ai tribunali militari che irrogarono pene severissime”.
Così la prima guerra che il giovane stato dovette combattere fu quella contro  diseredati del Sud, una funesta guerra civile che costò più vite umane di tutte le campagne del Risorgimento”.
La prima considerazione da fare su questi numeri riguarda il fatto che quelle fornite nel libro del fu Presidente della Repubblica sono molto più elevate di quelle presenti nei – pur pregevoli – libri di testo citati.
Ad onor del vero bisogna pure aggiungere che cinquant’anni fa i testi adoperati nelle scuole superiori dell’Italia erano molto meno precisi nel fornire cifre sul brigantaggio, quando proprio non tacevano del tutto sull’entità reale del fenomeno.
Perché il brigantaggio? Perché la guerra civile? come la avevano definita già in quegli anni personaggi come Cattaneo e Asproni.
Dare risposte univoche è fatica improba, ma qualche considerazione si può fare.
Si può per prima cosa dire che ci fu un comune limite nella cultura politica che guidò la prassi delle varie componenti che fecero l’Unità d’Italia.
La destra e la sinistra, Cavour ed i suoi sodali Garibaldi e Mazzini avevano un programma politico che ignorava le reali esigenze dell’Uomo Italiano i problemi sociali di questa umanità venivano tralasciati oppure ricordati nei proclami, ma disattesi nei fatti.
La severa verifica della realtà travolse “nella guerra civile” ed in un totale fallimento sia la Destra storica che quella Sinistra parlamentare che non era altro che il rovescio della medaglia di quella Destra che in nome dell’Unità si appropriò in modo monopolistico dello Stato Italiano.
Le popolazioni del Meridione, abbruttite dal più pesante servaggio e dalla superstizione più infame, spacciata per religione, si ribellarono, ma come tutte le “rivolte” che non riescono a diventare rivoluzioni organizzate, furono schiacciate nel sangue.
Gli autonomisti, i federalisti che volevano una certa decentralizzazione del potere, riuscirono a far sentire la loro flebile voce persino in Parlamento, quando Minghetti - il 13 marzo 1861 – presentò un progetto di legge in tale senso, ma sia la Destra che la Sinistra impaurite dai possibili pericoli che questa poteva far correre all’Unità da poco conseguita , bocciarono la proposta.
Da quel giorno il centralismo autoritario e burocratico tipico della legislazione piemontese caratterizzerà lo Stato Italiano fino alla Costituzione del 1948 ed anche oltre.
L’esplosione della rivolta nel Mezzogiorno impensierì e preoccupò notevolmente il governo tanto che nel dicembre del 1862 venne nominata una commissione d’inchiesta parlamentare presieduta dal Massari che presentò alla Camera la sua relazione nel maggio 1863.
Purtroppo – e la storia lo mostra in continuazione – in Italia le Commissioni Parlamentari possono produrre belle parole, ma non concrete opere di governo rivolte a rimuovere le cause del malessere.
Vediamo adesso come Asproni presenta nel suo Diario l’opera di questa Commissione.
Il 21 dicembre del 1861 così scrive: ”La guerra civile ferve sempre più sanguinosa nell’Italia meridionale, Garibaldi vi porrebbe termine in pochi giorni con la sola sua presenza a Napoli, ma questo governo preferirebbe che il Vesuvio ingoiasse Napoli, piuttosto che fare appello al Partito democratico”.
Il 10 marzo 1863 per la prima volta Asproni adopera la parola “brigantaggio” invece che “guerra civile”.
Il 9 maggio 1863 Asproni parla della Relazione Massari nel suo Diario, in questi termini: “Stasera sono stato alcune ore col deputato Crispi.
Mi ha comunicato alcune note prese dalla Relazione del Massari letta alla Camera in Comitato Segreto.
Sono orribili e più orribili sono le proposte della maggioranza della commissione.
Io non mi so capacitare come Aurelio Saffi abbia potuto apporre la sua firma a tali empie massime”.
I giorni 8 e 9 giugno dello stesso anno scrive: ”Stasera sono stato da Crispi, che mi ha dettato il sunto della Relazione fatta dal Deputato Massari sull’inchiesta delle provincie meridionali, in Comitato Segreto io ne farò un articolo”.
“Ho scritto l’articolo e l’ho mandato alla Unità Italiana”.
A prescindere dai giudizi talvolta velenosi verso la Relazione e verso il suo estensore che Asproni formula spesso e volentieri bisogna dire che la Relazione Massari evidenzia il fatto che il brigantaggio affonda le sue radici in quelle “cause predisponenti” che sono molto antiche e di cui l’Unificazione forzata ha costituito solo il detonatore.
Quella guerra civile non fu altro che una rivolta selvaggia, brutale, ma inconcludente, contro miserie radicate in ingiustizie secolari.
La relazione dava indicazioni su come reprimere gli effetti immediati del male, ma soprattutto proponeva di rimuoverne le cause antiche e radicate e perciò “predisponenti” nei confronti di altre possibili future sommosse.
La relazione faceva riferimento ad un Sistema Feudale che ha lasciato un’eredità le reliquie di secolari ingiustizie che devono e che aspettano di essere eliminate.
La miseria e lo squallore della vita delle masse di contadini senza terra, senza pane e senza futuro sono la naturale premessa al brigantaggio.
La Relazione parlava chiaro, ma se è facile reprimere più difficile è togliere di mezzo le condizioni che generano il disagio.  
La questione meridionale aspetta ancora di essere risolta.
Oggi si può affermare che la malavita meridionale si è radicata e prospera nelle Regioni del Nord, perciò dire che l’Unità d’Italia attraverso il Malaffare è stata realizzata non è bestemmia.
Resta da fare l’Unità degli onesti italiani, compito vasto e periglioso perché il degrado del Sud ed il Malaffare sono organici e funzionali sia agli interessi dei boss della camorra e della mafia, così come a quelli inconfessabili di un Nord razzista che vorrebbe rinchiudersi nel suo sedicente benessere.
Con questi dati non si vuole contestare l’importanza storica di quel Risorgimento che diede uno Stato alla Nazione Italiana, sarebbe ancora di più fuori luogo farlo attraverso letture filo borboniche o clericali alla De Maistre.
Lungi da noi lodare acriticamente i tempi passati anche perché bisogna guardare al futuro ed in questo ci troviamo d’accordo con R. Saviano che  in “Repubblica” del 7 settembre 2010 sostiene che: “Abbiamo bisogno di un nuovo Risorgimento che non deve declinarsi più come conquista dei sani poteri del Nord nei confronti dei barbari meridionali, questa è una storia già vista e che ancora (noi italiani) non abbiamo metabolizzato.
Abbiamo bisogno di un Risorgimento che investa quel mezzogiorno ancora capace di innovazione, di ricerca e pulizia, che forse è nascosto ma che esiste”.
Ci piace però sottolineare che l’analisi di Cattaneo e quella di Asproni combaciano con quella di un giovane scrittore che rischia tutti i giorni in prima persona, per denunciare il degrado etico e sociale della sua terra.
Come si vede un Risorgimento così concepito non funziona più come “mito esplicativo” che riesca a giustificare l’Unità della Italia così come è stata realizzata e praticata.
Perché questa concezione non riesce a proporre una soluzione a quel problema antico (Asproni e Cattaneo insegnano) ma attualissimo che è il federalismo visto come liberazione e valorizzazione di tutte le forze capaci di innovazione, ricerca e  pulizia presenti al Nord come al Sud.
Inoltre quello che Cattaneo profetizzò un secolo e mezzo fa è divenuta opinione condivisa da molti, sia al Nord che nel Sud Italia, persino in Europa – per dirla con parole che sono una parafrasi del pensiero dell’Illuminista lombardo – si è diffusa l’idea che la Nazione non è una realtà assoluta ed immutabile, parlare di “Stato Nazionale” cioè di una entità che si identifica perfettamente con una nazione può essere una astrazione, una illusione.
Lo Stato federale invece consente la convivenza politica di uomini e popoli che pur appartenendo a nazioni diverse abitano la stessa macrozona.
Proprio perché uno Stato federale garantisce il rispetto e la coesione di tradizioni, culture ed economie diverse.
Ricordiamoci inoltre che l’Italia dei tanti Comuni e delle varie Signorie - che a dispetto di chi la definì una “espressione” geografica - esisteva già molto tempo prima che venisse unificata come stato dalla dinastia Sabauda.
Certamente quella Italia era una realtà politico-culturale che aveva imboccato una strada diversa da quella di molte macro-aree europee che poi divennero Stati.
L’Italia esisteva e fu capace di parlare al resto del mondo facendo sentire la sua voce attraverso i suoi comuni divenuti centri autonomi che rivitalizzarono in modo dinamico il torpore Medioevale, realizzando il primo passaggio verso l’Età Moderna.
Fu la civiltà comunale – che in seguito si estese a molta parte dell’Europa – a porsi come radice originaria di una metamorfosi totale dell’intera penisola.
Questa fu la modalità con cui il “genio italico”parlò alla Europa intera, dimostrandosi altresì capace di interloquire - attraverso le repubbliche marinare, con le varie civiltà che contornavano il Mediterraneo.
Non è perciò ne inopportuno ne presuntuoso ritenere l’Italia odierna una realtà viva e capace di dare un contributo alla civiltà occidentale in fecondo dialogo con quelle altre che gravitano intorno alle coste del Mediterraneo.
Inoltre per la Sardegna e per il Meridione praticare un percorso federalista ed autonomista dentro le linee guida della collaborazione solidale con i popoli dell’altra sponda Mediterranea potrebbe essere una strada ricca di sviluppi e prospettive.
Un avvicinamento tra culture, popoli ed economie diverse arricchirebbe le rispettive realtà facendo del Mediterraneo un luogo d’incontro dove le passate scorrerie barbaresche o corsare siano sostituite da relazioni commerciali e culturali.