BUSCADERO .NET

A cosa serve la filosofia

Priamo Moi
2004 06
La buon'anima di Socrate sapeva che dietro le verità del senso comune poteva nascondersi l'accettazione passiva delle mistificazioni (il più delle volte inconsapevoli) funzionali alla conservazione di ben precisi rapporti di potere.
Ecco perché secondo il Grande Ateniese la filosofia "non serviva a nessuno" nel senso che non poteva porsi come serva di alcuna entità che non fosse il libero, ma regolato, esercizio del pensiero. Di conseguenza l'ironico e beffardo dialogare socratico aveva come fine il mettere in crisi la devozione ipocrita nei confronti del "non senso" presente nel servile buon senso condiviso dalle maggioranze.
Se fosse vissuto oggi e se avesse la fortuna di insegnare alle dipendenze del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, alla domanda, impertinente, di qualcuno dei suoi alunni o colleghi riguardante la filosofia risponderebbe in modo ironico e mordace con queste parole: " Il libero esercizio del pensiero non è al servizio di nessun potere costituito, sia esso politico, religioso, economico o militare. La filosofia serve a demistificare, a togliere quel velo di ipocrisia che ricopre le presunte verità diffuse nel gregge umano da quelli che presentandosi "in veste di pastor sono invece lupi rapaci" ".
Il pensiero filosofico deve denunciare quella mescolanza di stolta ignavia e stupida remissività che facilita alla vittima di essere complice del carnefice, che consente allo sfruttato di subire la rapina e al gabbato di onorare il mentitore.
Esso deve criticare le mistificazioni e smascherare le menzogne qualunque sia l'origine delle prime e qualsiasi sia lo scopo delle seconde.
Socrate direbbe che la filosofia serve a formare uomini liberi e di buoni costumi; liberi perché non confondono gli scopi del pensiero con quelli del potere, di buoni costumi perché pronti al dialogo con tutti, esclusi quelli che nella loro arrogante superbia vogliono impedire agli altri di essere tolleranti. Uomini che devono fare del pluralismo un'arte del vivere e del pensare e che oppongono ai poteri (illecitamente) costituiti il concreto pensare ed operare nella libertà. Sappiamo che come educatori stiamo proponendo un metodo di vita non privo di rischi, in un mondo impregnato di menzogna che: "onora i ladri e dà loro titoli, reverenze e lodi nel consesso dei senatori".
Stiamo affermando che il coraggio è necessario alla tutela della propria indipendenza, nel fare questo vogliamo ricordare un altro spirito libero: l'ebreo Benedetto Spinoza. Questo studioso visse nella seconda metà del secolo XVII nei Paesi Bassi, il suo pensiero si incardina e si sviluppa intorno a tre problematiche: politica, religione e libertà di pensiero. Quest'ultima viene concepita come un valore irrinunciabile da difendere con coraggio dalla petulante ed autoritaria arroganza dei predicatori ignoranti al servizio del potere, i quali come guide cieche pretendono di illuminare le vie che gli altri devono percorrere.
Le sue opere principali furono "Il trattato teologico-politico" e " L'etica", in queste due opere critica quell'inclinazione - presente nell'animo di ogni uomo - che porta a credere in qualsiasi racconto fantastico che ne assopisca le paure esistenziali. Questa tendenza a cadere nelle braccia delle fantasie superstiziose intossica la vita sociale e rende gli uomini schiavi di quelle pulsioni animalesche che rendono possibile il potere di alcuni sulla moltitudine. Come liberarsi da questi pregiudizi pseudoreligiosi che vengono adoperati per disgregare le forze razionali presenti in ogni uomo per poterlo meglio sottomettere? Come impedire "ai lupi rapaci che si presentano vestiti da pecora" di realizzare la loro sete di dominio attraverso le tristi passioni del fanatismo, dell'ipocrisia, del moralismo rancoroso, dell'odio per il diverso? Solo la ragione può, dice Spinoza, attraverso il suo libero e coraggioso indagare allontanarci gradualmente dall'oscura ignoranza, radice di ogni male.
Il discorso spinoziano è oltre che interessante, complesso, ma nelle sue premesse e conclusioni abbastanza chiaro. Per quanto riguarda i rapporti tra ragione e fede, cioè tra filosofia e Libro Sacro, Spinoza sostiene che: "Non c'è nulla nella Scrittura che si opponga all'intelletto. Il Libro Sacro propone delle semplici e chiare regole morali comprensibili a tutti". In altre parole il Libro della Legge Sacra ha valore per la moralità del singolo, il quale se ne osserva le norme darà vita ad una società eticamente equilibrata che consentirà a tutti di vivere nel modo meno infelice possibile.
Di conseguenza la filosofia come ricerca della verità e la teologia come indagine morale sul Libro della Legge possono e devono - secondo Spinoza - convivere, in quanto si occupano anche se in modo diverso dell'infelicità dell'uomo nel tentativo di renderla sopportabile.
La domanda che ci poniamo è la seguente: se il nostro Autore sosteneva che la libertà della filosofia non ostacola né la morale religiosa né la pace della società, allora perché il suo progetto venne avversato sia dai rabbini, che dai preti, che dai politici.
In effetti il filosofo ebreo non dovette bere la cicuta come Socrate, ma subì quella che da noi viene chiamata scomunica, sia da parte dei suoi confratelli che da parte dei cristiani. Forse chi scaglia anatemi e maledizioni sugli altri non fa altro che evidenziare la sua malvagità mostrando al contempo una totale buona fede. Chissà cosa passa nell'animo di chi adopera le Sacre Scritture per maledire invece che per benedire; noi non riusciamo ad immaginarlo.
Probabilmente si dimostra ancora una volta la totale impotenza di certi esseri umani che si rivelano incapaci di guidare ed illuminare con la ragione le proprie passioni e la propria volontà di dominio. Come dice Spinoza: "Vedremo facilmente in che cosa differisce un uomo guidato dalle sue cieche passioni, da un altro guidato dalla ragione. Il primo - lo voglia o no - ignora completamente ciò che fa … chiamo perciò schiavo il primo e libero il secondo".