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Su Pico della Mirandola

Priamo Moi
2002 05
Il mese scorso nel delineare l’opera e la figura di Marsilio Ficino abbiamo accennato brevemente all’Accademia Fiorentina ed a quel grande politico ed organizzatore di talenti che fu Cosimo I dei Medici.
In quel periodo a Firenze viene a crearsi un ambiente dove la cultura può mostrarsi in tutta la sua libertà ed audacia, svincolandosi dalle rigidezze strutturali presenti nelle –pur serie – Università del periodo.
Per breve tempo queste istituzioni furono eclissate dalla vivida luce proveniente da questa Accademia.
Alla corte dei Medici nel cenacolo culturale situata nella villa di Careggi si raccolsero capacità ed intelligenze che non potevano essere ospitate entro il chiuso e severo assetto della Università.
Questa Accademia non aveva ne statuto, ne cariche, ne scadenza fisse per le periodiche riunioni.
I punti fermi erano costituiti dalla data d’inizio dell’anno accademico, fissata al sette novembre di ogni anno e dalla suddivisione dei componenti in gruppi di nove, in ricordo delle nove Muse.
Quel miracolo chiamato Rinascimento, che dalla Toscana si irradiò in Italia ed in Europa si realizzò nella Firenze dell’ultima metà del XV secolo.
Alcuni parlano del potere mediceo come di una “democrazia blindata”, come una forma di raffinato, ma sostanziale dispotismo.
Possiamo per certi aspetti concordare su questo giudizio perché per loro ammissione i Medici sapevano che : “gli stati non si governano con i Paternostri”.
Detto questo dobbiamo aggiungere che, fu proprio questo “dispotismo” moderato e benevolo a favorire le condizioni che permisero la fioritura di nuove idee e la nascita di un Uomo nuovo portatore di valori etici che scardinavano i vecchi schemi.
Esprimere ed esplicitare in poche righe quali sono le caratteristiche di questa novità non è facile, ci proveremo comunque prendendo come figura paradigmatica di tutta quella temperie culturale, una delle colonne portanti dell’Accademia Fiorentina : Pico della Mirandola.
Il nostro nonostante la sua breve vita – nacque a Mirandola, presso Mantova il 24 febbraio 1463 e morì a Firenze il 17 novembre del 1494 – assurge tra i contemporanei a grande fama, tanto da essere definito :”la Fenice degli Ingegni”.
La nostra opinione è forse meno roboante, ma possiamo affermare che fu grazie ad uomini di cultura come il Nostro che l’umanità riuscì a liberarsi dal torpore che aveva a lungo assopito le facoltà dell’animo umano.
Egli contribuì a squarciare quel velo intessuto di vane illusioni che offuscava l’umanità, la quale come dice Vico : “Prima sentiva senza avvertire, in seguito avvertiva con animo perturbato e commosso e finalmente riuscì a riflettere con mente pura”.
Una coscienza umana ormai illuminata dalla convinzione che l’Uomo possiede una propria peculiare dignità che gli consente di costruire e determinare la sua storia.
Vediamo adesso di esporre per brevi linee il Pensiero di Pico a proposito dell’Uomo e della sua riconquistata dignità.
Premettiamo che il suo obiettivo era costituito dalla riconciliazione e dalla sintesi sia morale che religiosa e filosofica delle diverse verità, convinto che queste non erano altro che la poliedrica espressione della Verità Una. Tutto questo in vista di una rigenerazione della vita e della storia dell’Uomo, a quei tempi, frantumate e scisse sia dal punto di vista religioso che sociale e politico.
Il progetto di realizzare un panorama completo della tradizione lo realizzò in un’opera dal titolo: “Conclusiones nonagentae, philosoficae, cabbalisticae et teologicae”.
Queste novecento tesi furono messe in circolazione nel 1486, nell’intento di bandire a Roma una grande discussione fra i dotti ed i sapienti, che sarebbero stati convocati da ogni parte della terra.
Questo dibattito culturale purtroppo non si tenne, perché alcune di queste tesi vennero ritenute eretiche dal Potere Vaticano.
In difesa della sua opera, Pico pubblicò un’Apologia dedicandola a Lorenzo il Magnifico, il risultato fu una Bolla emanata da Papa Innocenzo VIII che condannava l’opera del Nostro.
Un breve inciso si rende necessario per spiegare quali erano i rapporti che intercorrevano tra i Medici, l’Accademia e la Roma papalina.
Subito dopo la congiura de’ Pazzi – avvenuta nel 1478 – Lorenzo, miracolosamente scampato alla stessa, fece impiccare i responsabili della congiura, tra i quali l’arcivescovo di Firenze, Salviati.
Il Papa Sisto IV prese tutto ciò come pretesto per lanciare l’interdetto sulla città e la scomunica su tutti i magistrati fiorentini e sullo stesso Lorenzo, che altro non aveva fatto che difendere la sua pelle dai pugnali dei congiurati.
Insomma difendersi dall’arroganza proterva attraverso un’Apologia dedicata a quello “scomunicato” di Lorenzo il Magnifico, non fece piacere alla Curia Vaticana, ecco il perché della Bolla papale.
Torniamo adesso alla dignità dell’Uomo, nucleo portante del pensiero di Pico della Mirandola.
Oltre alle Novecento tesi ed all’Apologia delle stesse, il Nostro scrisse un discorso inaugurale, come premessa a quella discussione fra dotti, che per i motivi spiegati non si tenne.
Il titolo era: “De hominis digitate”. In questa opera sostiene varie idee, esponiamo la più importante.
Perché l’Uomo viene ritenuto un grande miracolo, una grande meraviglia tra i viventi?
Rispondere a questa domanda ci permette di esplicitare la tesi più importante dell’opera in questione, già adombrata con chiarezza nel titolo della stessa.
Seguiamo passo passo la proposta di Pico: dopo aver foggiato secondo le leggi di un’arcana sapienza l’Universo – che ci appare come tempio augusto della divinità – il Sommo artefice desiderò che in esso ci fosse Qualcuno capace di amarne la Bellezza, di ammirarne la Forza e la infinita Saggezza attraverso cui lo aveva strutturato.
Pensò allora di creare l’Uomo, un essere capace di rispecchiare la sua Gloria e di capire il mirabile intreccio che collega tra di loro i mondi che compongono l’Universo.
Pose perciò nell’uomo nascente semi di ogni specie e germi di ogni vita.
Se tutte le creature – dalle anime eterne dello iperuranio agli animali del mondo materiale- possedevano una natura ben determinata entro le leggi da lui prescritte all’Uomo disse: “tu te la determinerai – la tua natura – da nessuna barriera costretto, secondo il tuo libero volere, alla cui potestà ti consegnai. Non ti ho fatto ne celeste ne terreno, ne mortale ne immortale, perché tu stesso quasi libero e sovrano artefice ti possa plasmare e scolpire nella forma che vorrai. Tu, o Uomo potrai degenerare nelle cose inferiori, oppure potrai rigenerarti nelle cose superiori che sono divine.
Come si vede – nel mito esplicativo proposto da Pico – la Divinità invita l’Uomo alla libera strutturazione di se stesso, proprio questa possibile Libertà costituisce il valore e la dignità dello stesso.
Infatti se i semi che l’Uomo coltiverà saranno quelli della ferina bestialità allora si incamminerà per una strada involutiva, mentre se i germi che farà sviluppare saranno quelli intellettuali e razionali allora percorrerà la strada di un’evoluzione che lo porterà a diventare “Figlio di Dio”.
Come si vede l’Umanesimo rinascimentale – di Pico della Mirandola – evidenzia che la Dignità dell’Uomo risiede in questa possibile autonomia.
Nell’affermare l’autonomia Egli non parla mai d’indipendenza dell’Uomo da Dio, infatti nel dimostrare e valorizzare le sue concrete e possibili capacità, non nega il trascendente Modello a cui deve continuamente riferirsi.
In altre parole il laico Pico propone la libertà umana come rispecchiamento della libertà divina, l’umanista resta sempre un religioso, senza mai atteggiarsi a dogmatico o “stupido ateo”.
Fin qui il pensiero del Nostro che speriamo di aver riportato in modo corretto.
Vogliamo adesso concludere ricordando un fatto che dimostra come la storia riesce talvolta a far giustizia rendendo rispettabili concezioni in altri tempi perentoriamente condannate.
Nel 1977 comparve, in Italia, - edito dalla Jaca Book – un libro dal titolo “Pico della Mirandola” scritto dal francese Padre Henry de Lubac.
Questo religioso viene universalmente considerato – assieme ad altri – uno dei “padri” del Concilio Vaticano II. Infatti era stato nominato da Giovanni XXIII tra i membri da consultare per i lavori preparatori della commissione teologica per lo stesso Concilio.
Questo insigne teologo francese sostenne, nel suo libro, la tesi che Pico della Mirandola, fu un grandissimo pensatore ed il pioniere di una “nuova era” di pace e comprensione universali.
In seguito Giovanni Paolo II lo nominò Cardinale.
Come si vede tanta acqua è passata, sia sotto i ponti di Tevere che sotto quelli dell’Arno. Probabilmente un “nuovo corso” si è fatto strada nelle segrete stanze del colle Vaticano, tanto da consentire ad un estimatore di Pico, di far parte del ristretto numero dei “padri” del Concilio Vaticano II e in seguito di essere nominato cardinale da Papa Woitla.